Pavilion Lautania Virtual Valley / Spazio Ophen Virtual Art Museum
Carl T. Chew - RCBz - Reid Wood
IDENTITY OF ARTIST / Marginal Active Resistances Two
Tre proposte internazionali indipendenti con un testo di Sandro Bongiani presentate in contemporanea con la 58th Biennale Internazionale d’Arte di Venezia 2019 e in occasione del decennale dello Spazio Ophen Virtual Art Gallery.
Inaugurazione sabato 25 agosto ore 18:30
25 agosto al 21 novembre 2019
L’essenza del non luogo / L’arte di confine a margine di un sistema.
Per Carl T. Chew, RCBz e Reid Wood vi è l’attenzione a una pratica non monoculare che si propone di raccontare quel che accade non smettendo - per dirla con Michel Foucault - di comprendere il mondo e il funzionamento di certi discorsi all'interno della società. Ciò accade con il pensiero attivo marginale, in un’area di ricerca che preferisce collocarsi al di fuori dai circuiti ufficialmente deputati all'arte, preferendo i processi, e il dialogo in un fluire di esperienze e accadimenti senza impedimenti e costrizioni. L’attività di questi tre artisti rimane una forma di marginalità attiva dentro il magma caotico del sistema creando nuove azioni di creatività resistente. Nella visione di Foucault come di Henry Lefevbre, le eterotopie sono luoghi altri di contestazione in cui viviamo, luoghi reali ricchi di possibilità. Le eterotopie inquietano perché minano le certezze nel tentativo di dare un senso alla vita quotidiana. L’arte marginale o di confine come propriamente deve essere definita non significa semplicemente essere periferica a qual cosa, la sua collocazione a qualcosa di nascosto svincolato da un centro diventa flusso magmatico di pensiero in grado di declinarsi in forma ambigua e eterea. Stare ai margini di un sistema, significa quindi condividere uno spazio di nuove possibilità che si insinuano nel quotidiano creando nuove relazioni in un processo di mobile posizionamento e di combinazione dell'esistente. Nella conferenza tunisina “Des espaces autres” del marzo del 1967 Foucault articolava Il sesto principio insistendo sulla funzione propria dello spazio eterotopico nel suo correlarsi allo spazio esteriore, sia nella forma dell'illusione sia nella forma della compensazione. Rimane sottinteso che l’eterotopia, inizialmente forgiato sul modello del concetto di utopia, rimane il suo simmetrico contrario, designando luoghi aperti e reali mentre le utopie indicano passivamente ambienti privi di localizzazione effettiva. Foucault contrappone le utopie alle eterotopie scrivendo: «Le utopie consolano mentre le eterotopie inquietano perché minano segretamente il linguaggio, contestano i luoghi comuni correlandosi allo spazio esteriore sia nella forma dell'illusione sia nella forma della compensazione. Nella conferenza tunisina del 67’ Foucault chiudeva tale contributo sulle eterotopie con queste parole: “la nave è un frammento di spazio galleggiante, un luogo senza luogo, che vive per se stesso, che si autodelinea e che è abbandonato, nello stesso tempo, all'infinità del mare e che, di porto in porto, di costa in costa, si spinge fino alle colonie per cercare ciò che esse nascondono di più prezioso nei loro giardini, comprendete il motivo per cui la nave è stata per la nostra civiltà il più grande serbatoio d'immaginazione. La nave è l'eterotopia per eccellenza. Nelle civiltà senza battelli i sogni inaridiscono, lo spionaggio rimpiazza l'avventura, e la polizia i corsari”. Anche nell’arte vi è la stessa strategia a comprendere il mondo utilizzando strumenti che possano mettere in moto momenti di eterotopia collettiva condivisa.
Ciascuno dei tre artisti, in tre sale personali diverse, ci consegnano una visione del tutto nuova e originale della realtà, con la carica metafisica e la condizione visionaria delle cose raccontata da Carl T. Chew, con il mistero dell’oggetto ansioso insostanziale dei luoghi inoggettivi diventati solo “non luoghi” di Reid Wood, oppure, l’intervento spesso dissacratorio e poetico tra fantasia, realtà e storia dell’arte dell’artista RCBz. Non si tratta semplicemente di pura e semplice fotografia, non la chiamerei neppure con questo nome, perché la fotografia è quella che ritrae la pelle della realtà del mondo esterno, gli oggetti, le cose, mentre in queste opere si rappresenta qualcosa che non c’è, un mondo nascosto s/velato attraverso frammenti fotografici e volutamente alterato per mezzo l’elaborazione digitale. Il risultato ottenuto è aver prodotto un’immagine destrutturata e nel contempo ristrutturata in modo concettuale che attraverso l’uso di oggetti deformati e interpretati concorrono a creare nuove situazioni, a dar forma ad un evento del tutto nuovo di tipo immaginifico e spesso fantastico. Sta solo allo spettatore decifrare e decriptare le immagini e ciò che è stato rappresentato dall’artista. In tutti questi tre artisti, nati nello stesso anno (1948), vi è lo stesso atteggiamento di fronte alla rappresentazione della realtà, tra oggettualità e virtualità, in una commistione di elementi grafici e coloristici che di fatto alterano il normale rapporto delle cose trasformandosi in qualcosa di diverso e che non è mai esistito. Sono particolari riflessioni che gli artisti fanno oggi in questo anestetizzato contesto sociale carico di grande incertezza e disumanità in cui si confezionano spesso ingiustizie che certificano il disprezzo assoluto per la condizione umana. Sia Carl T. Chew che RCBz e Reid Wood lavorano utilizzando la fotografia e la stampa digitale approdando al teatro dell’essenza e dell'eterotopia trascorrente, tra spazio esteriore e spazio mentale divenuto accadimento e essenza poetica. Questa particolare forma di dialogo e correlazione allo spazio esteriore, in un fluire di esperienze e accadimenti senza impedimenti e costrizioni la possiamo ritrovare congiuntamente nelle opere dei tre artisti americani.
Le opere ancora poco conosciute al grande pubblico nascono altresì dal bisogno di collocarsi al di là di un confine, in un’area di ricerca “marginale” capace di definire e porsi in forma alternativa alle ricerche ripetitive prodotte dal sistema ufficiale dell’arte. Un’invenzione giocata a tutto campo su “universi possibili”, intesa come il luogo privilegiato per rilevare nuove ipotesi di lavoro che nella dimensione creativa e mentale suggeriscono nuove possibilità di ricerca, tra la libertà della creazione e la globalità intelligente del fare arte. Permane in loro la proposta convincente di una ricerca volutamente di confine in un particolare campo di azione svolto tra fotografia e rappresentazione poetica, come spartiacque al modo omologato e spesso monotono proposto dal sistema istituzionale dell’arte. Sandro Bongiani