Ruggero Maggi / L’arte marginale di confine tra realtà, natura primaria e tecnologia.
“Anche un viaggio di mille miglia comincia sempre con un solo passo”
Lao Tzu
Ruggero Maggi inizia la sua attività di artista negli anni '70 con lavori contraddistinti da un'inclinazione surrealista ed incentrati sulla poesia visiva, sulla mail art, copy-art, laser art e olografia, caratterizzati anche dall’inserimento di “estratti” di vita reale.
Con il passare degli anni queste strutture “interferenti” all’interno dell’opera sono diventate sempre più evidenti, in un rapporto di intensa “osmosi”, in cui a partire dal 1989 gli arcaici elementi naturali convivono con componenti tecnologici, fino alle opere recenti dove il concetto “Artificiale/Naturale” tra ”sincronismo concettuale e emozionale” assume un ruolo predominante consegnandoci una realtà in cui l’azione umana coincide con quella morale, in un complesso intrico di rimandi e di sollecitazioni.
Magistrale è l’attenta disamina critica che ne fa Pierre Restany “il suo lavoro è di natura linguistica. Le sue opere derivano da una ricerca sul linguaggio basato su una dialettica elementare e primaria. Il suo linguaggio combina elementi di alta tecnologia con i materiali primari ed elementari, il primitivismo con la sofisticazione. Cemento, legno, fotografia, ologrammi, neon, laser, pittura, scultura, installazioni, performance: l'opera di Ruggero Maggi è legata ad un approccio etico del linguaggio. L'universo dell'artista è l'universo della morale. Il terreno della sua attività linguistica è il mondo della filosofia dell'azione”.
Un linguaggio rivolto decisamente alla Natura che dialoga interagendo con la tecnologia e consegnandoci alla fine una realtà del tutto diversa. Lo stesso Restany aggiunge “non è a caso che, da Hiroshima all'Amazzonia, l'artista abbia affrontato delle situazioni e dei temi legati al destino profondo dell'Uomo, al suo ruolo ed alla sua funzione sul pianeta”. Un procedere decisamente lucido e assorto che per oltre un cinquantennio ha caratterizzato il suo lavoro di ricerca con installazioni incentrate sullo studio del caos, dell’entropia e dei sistemi frattali, fino a trattare, da autentico visionario, problematiche importanti come quelle dell’ambiente “Una foresta di pietre” (Media Art Festival – Osnabrück del 1988), “Morte caotica”, “Una lunga linea silenziosa” (1993), “Underwood” del 2006, “Ecce ovo” del 2008, dedicato alle problematiche del riscaldamento globale, come quelle sociali nel 2009 alla caduta del Muro di Berlino “Prima o poi ogni muro cade” 1989-2009, nel 2010 “GenerAction – un promemoria per le generazioni” e come quella annosa e difficile legata alla causa tibetana con il Padiglione Tibet, presentato con cadenza biennale dal 2011 durante la Biennale Internazionale di Venezia.
Un continuo interesse verso la natura e la dimensione umana in un complesso rimando di sollecitazioni e interferenze, di sottintesi e nascosti richiami in cui l'azione coincide sinteticamente con il tempo provvisorio e oscuro dell’uomo. In questa particolare condizione, la sua ricerca marginale di confine “più vera di natura” ha saputo prendere corpo e manifestarsi in una sintesi poetica accorta che condivide le urgenze estreme della vita ed i contrasti inquieti della nostra malandata società contemporanea”.
Sandro Bongiani, 19 agosto 2020.