In forma di luce alla ricerca dell’infinito tra Ludoscopi, ideazioni plastiche, progetti urbanistici e installazioni.
Una lunga attesa durata oltre due lustri prima di scrivere ancora un’altra riflessione critica per Paolo Scirpa. Nella sua lunga attività l’artista siciliano-lombardo ha saputo coniugare l’interesse verso l’ignoto con eventi transitori del “non luogo”. Le opere dei “Ludoscopi”, nate a partire dal 1972 in poi non evidenziano il vuoto come “assenza” ma come essenza e presenza insostanziale non ancora definita e pur visibile nella dimensione intima dello spazio. Una visione insostanziale di presenze incorporee che prendono forma grazie all’utilizzo della luce reale. I contenitori virtuali delle ludoteche dalla forma primaria, grazie all’uso di luce al neon e di specchi, trasformano e alterano la forma geometrica moltiplicando a dismisura la funzionalità in un sintetico spazio-luce. Paolo Scirpa sa come fare per liberarci dal peso greve del corpo e proiettarci dentro il tunnel dell’’infinito, in un flusso continuo di materia lieve che s’insinua dentro il labirinto e ne fa parte attiva. Di colpo, sembra di essere risucchiati e assorbiti nel profondo e oscuro pozzo nero, non soltanto a livello percettivo ma anche interiore, ovvero della coscienza e della riflessione. Chi guarda queste insolite “macchine meta-scopiche” si illude di fare un ingenuo viaggio e di trovare con certezza un possibile sconfinamento spaziale. In realtà viene assorbito senza alcuna possibilità di trovare una fuga prospettica, in cui la durata e la successione degli eventi che appaiono non hanno più un conseguente sviluppo logico. Una condizione, si direbbe sospesa, con una temporaneità provvisoria, frantumata e ridotta a pezzi, nata per essere “infinita”. Non semplicemente un viaggio giocoso e ludico come certamente avrà fatto qualcuno di noi ’impugnando per gioco un caleidoscopio a percepire le forme occasionali della geometria dando sfogo alla curiosità e ai sogni. Nelle opere di Scirpa la percezione ottica supportata dalla geometria non è fine a se stessa, chi guarda le sue opere s’illude di intraprendere un possibile viaggio ludico, in realtà si ritrova letteralmente assorbito nell’inconsistente mondo dell’energia e del flusso indefinito. Di certo, la motivazione di questi lavori è di ordine essenzialmente morale; riflettere e prendere coscienza dai numerosi condizionamenti che noi involontariamente subiamo ogni giorno, affinché ci possa essere una presa di coscienza del nostro esistere e magari un possibile risveglio da una condizione anestetizzata e resa precaria. Ecco perché nel 1972, in contemporanea ai primi lavori dei “Ludoscopi” crea la grande “Megalopoli consumista”, una grande installazione di un contenitore di 2x2x2 metri nata dopo gli anni della contestazione giovanile del 68, in cui attraverso un foro a parete si può percepire una città illuminata fatta di vuoti a perdere, scatole, involucri da buttare, di oggetti d’uso quotidiano di diversa forma e dimensione assemblati gli uni a fianco agli altri a definire una caotica e “consumistica” megalopoli moderna, una sorta di strutturazione architettonica a forma di città, con simboli alienanti e un confuso accumularsi di false necessità scadute a falso concetto di benessere - come scriveva lucidamente nel 1975 in una presentazione Marco Meneguzzo - “dove il messaggio è sin troppo chiaro, e la città dell’uomo è diventata la città del consumo, e dove l’uomo stesso si identifica col consumo, anzi, col consumismo, che ne è la degenerazione”.
Da una parte vi è stata la ricerca in forma di ludoscopi, e dall’altra la contestazione di un mondo dedito al facile e assuefatto consumismo. Insomma, non solo la trattazione della poetica della luce, ma anche e soprattutto, l’indagine riflessiva e pungente d’impronta morale.
La sua iniziale ricerca nasce negli anni Sessanta come momento di ricerca percettivo-cinetico tra astrazione e lirismo. Nel 1965 “Composizione” è un’opera matura che anticipa già il lavoro e le ricerche svolte qualche anno più tardi. L’opera nasce da una visione in cui il paesaggio rappresentato è caratterizzato da una inconsueta dislocazione e decentramento. Così anche le opere successive del “Sole” e di “Habitat” definiti provvisoriamente tra forma e costruzione artificiale. Agli inizi degli Settanta nascono i primi Ludoscopi ormai in linea per originalità e creatività con le diverse tendenze contemporanee svolte in quel periodo in campo internazionale. Insomma, una luce non rappresentata in senso tradizionalmente pittorico o grafico ma reale, in uno spazio tridimensionale in cui il colore e la forma utilizzata dei neon si moltiplica a dismisura in una serie convergenze e divergenze, di innesti, vibrazioni e traslazioni progressive ricreando una apparente profondità e una estensione dello spazio, restituendoci la dimensione riflessa e interiore della visione, l’apparenza provvisoria di un infinito trascorrente, simulato e percepito. In tutti questi anni, la luce meta-fisica e trascendentale è stata la compagna di viaggio privilegiata in cui Scirpa ha dovuto sempre fare i conti. Nel panorama dell’arte contemporanea degli anni Ottanta l’artista, continua a proseguire nel suo personale viaggio approntando nuovi sviluppi della sua originale e ricercata poetica visiva. In oltre 50 anni di assidua e ossessiva ricerca, l’artista ha indagato le svariate possibilità del fare ricerca con soluzioni decisamente assai concilianti e sorprendenti. Mi riferisco all’uso di diverse tecniche utilizzate, come per esempio l’incisione, la pittura, i progetti utopistici e urbani. Proprio negli anni Ottanta inizia a realizzare i progetti d’intervento nel territorio utilizzando il fotomontaggio su card di piccolo formato inserendo elementi artificiali nel tessuto consueto e metaforico del reale. Non sono da considerarsi ingenuamente delle anonime anteprime “vedute di fantasia” alla maniera settecentesca, bensì, parte di una ricerca parallela a quella dei Ludoscopi d'impronta “utopistica” in cui il reale viene metaforicamente violato da segnali artificiali, interferenze e presenze al neon “dis-equilibranti”. Come nei “Ludoscopi”, anche in queste nuove ipotesi di ricerca, l’elemento visivo proposto in una dimensione progettuale più amplificata, nell’apparenza del reale, altera il normale rapporto e equilibrio costitutivo divenendo “interferenza ambientale” per costringerci, ancora una volta, a riflettere e a cercare qualche motivazione morale piuttosto che subirla. Con i “Progetti d’intervento nel territorio” vi è la lucida esigenza di analizzare in una nuova chiave d’indagine la propria e personale visione poetica utilizzando un diverso approccio e rapporto dimensionale a verifica della fattibilità della cosa proposta. Dall’incessante indagine dei progetti d’intervento, proprio nel 2009, nasceranno i progetti del “Teatro è il suo doppio”, modelli lignei immaginati sulla forma del teatro greco come quello di Siracusa in cui ha vissuto Paolo Scirpa per diverso tempo prima di trasferirsi a Milano, nati da un oscuro e indefinito moto dell’immaginazione tra forma, invenzione e storia. In questo senso, tutto il lavoro di Scirpa può essere ricondotto criticamente nell’alveo di un progetto ben più ampio e maestoso ai confini delle soglie disciplinari e ancora del tutto attuale e percorribile.
Sandro Bongiani, Salerno, 30 settembre 2021